Quale può essere il costo della guerra per la Russia? Le sanzioni possono davvero fare male all’economia russa? Difficile dirlo ma il prezzo da pagare per la Russia sarà senza dubbio enorme: queste sanzioni sono molto più dure e pervasive di quelle che furono imposte nel 2014, dopo l’invasione della Crimea.
Dopo il crollo del regime sovietico la Russia ha affrontato cinque gravi crisi
economiche. Oggi, tuttavia, l’economia è molto più solida rispetto al passato. Le riserve internazionali sono assai più cospicue; la bilancia commerciale
è in forte attivo, così come il bilancio statale. Le banche sono ben capitalizzate e redditizie. La disoccupazione è ai minimi assoluti e l’inflazione, per
quanto in aumento, è ancora relativamente contenuta.
Tuttavia, secondo gli analisti, la differenza rispetto al passato sta nella natura permanente delle sanzioni e negli effetti sulla propensione all’investimento. La mossa di Putin potrebbe condannare la Russia a uno sviluppo al di sotto del potenziale: ha compromesso la fiducia degli investitori nel futuro della Russia. Numerosi componenti della business élite russa hanno apertamente criticato l’invasione, come il proprietario di Rusal (maggiore produttore russo di alluminio) Oleg Deripaska, il fondatore di Alfa group Mikhail Fridman e il consigliere del Cremlino Anatoly Chubais.
Secondo JP Morgan, l’economia russa rischia di registrare un crollo del 20%
nel secondo trimestre del 2022 rispetto ai primi tre mesi dell’anno come conseguenza delle sanzioni varate da UE e Usa, alle quali ha aderito anche la
Svizzera. La flessione per l’intero anno potrebbe essere dell’ordine del 3,5%,
mentre l’inflazione potrebbe attestarsi al 10% a fine 2022, con rischi significativamente orientati al rialzo. A fine febbraio banca centrale russa ha raddoppiato i tassi d’interesse portandoli al 20% dal precedente 9,5%. Nonostante l’intervento delle autorità monetarie il rublo è sprofondato al minimo storico.
Il valore dei titoli russi sulle borse mondiali è precipitato, da Sberbank (la più
grande banca russa) ai colossi dell’energia Gazprom, Lukoil e Rosneft al leader della grande distribuzione Magnit (oltre 26.000 negozi alimentari in Russia).
Il sistema bancario è esposto a gravi rischi di default. Vi è un pericoloso disallineamento tra passività e riserve in dollari delle banche. Le banche non
hanno liquidità sufficiente per soddisfare la domanda, soprattutto dopo che
gli Stati Uniti hanno escluso Sberbank e VTBBank dal mercato valutario.
Dopo S&P (CCC-) e Fitch (B) anche Moody ha tagliato il rating sul debito sovrano russo da B3 a Ca, ovvero un prossimo default con un outlook negativo.
I maggiori gestori di carte di pagamento (Paypal, Visa, Mastercard, American Express) sospenderanno le operazioni in Russia.
La prossima scadenza di rimborso sul debito sovrano russo è prevista per il 16
marzo 2022, data in cui scadranno le cedole di due titoli di Stato russi in USD
per un controvalore di $ 117 milioni. Il ministero delle Finanze russo ha fatto
sapere che intende onorare completamente e nei tempi previsti gli obblighi
di pagamento sulle emissioni di debito sovrano ma è stato reso noto che
i pagamenti legati ad emissioni in valuta estera detenuti da cittadini russi
saranno effettuati in rubli. I pagamenti nei confronti dei creditori stranieri
dipenderanno dalle sanzioni attuate dagli stati esteri: laddove bloccati per
le restrizioni, saranno effettuati in rubli. Questa opzione di rimborso sembrerebbe di difficile realizzazione per vari motivi: l’opzione di pagamento in rubli non è prevista nella maggioranza dei contratti che regolano l’emissione di
debito sovrano in valuta estera. Il governo russo, inoltre, ha bloccato l’esportazione di valuta.
Dopo un decennio di deleveraging, il debito estero russo è sceso a 500 miliardi di dollari, inferiore di circa un terzo rispetto al 2014. Un valore pari a un
terzo del PIL russo. 75 miliardi sono debito delle banche, ma la quota maggiore (310 miliardi) è debito corporate, 7 miliardi di pagamenti sono dovuti
a maggio: sarà difficile se non impossibile rispettare gli impegni. La liquidità
delle imprese è perlopiù depositata nelle banche: a fronte di 280 miliardi di
passività in dollari, le poste in attivo sono solo 46 miliardi. Non è escluso, tra le
varie ipotesi che sono state avanzate, che il governo imponga un bando al
pagamento del debito estero, al fine di preservare le riserve valutarie disponibili: una decisione che equivale di fatto a un default.